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BLOG in ITALIAN. “The Old Days” Prologo e la “faccenda” della paletta spezzata in casa Vai.

Ho lavorato per Steve Vai e con Steve Vai per poco più di tre anni.

E’ una cosa della quale vado fiero ed ovviamente mi ha aperto la strada verso l’ esigente e delicato mondo del networking lavorativo ed è parte focale del mio “CV” nelle locandine e nelle sponsorizzazioni.

E’ comunque un periodo della mia vita del quale non parlo spesso con chiunque o nel dettaglio. Per niente.

Lo faccio di fronte ad una bistecca o una piadina, in qualche occasione speciale di incontro con qualche amico lontano, oppure mi lascio “scappare” qualche aneddoto durante le mie masterclass incalzato da qualche super-curioso allievo bramante di “storie di artisti famosi”… e ormai so esattamente quali aneddoti raccontare, è come se avessi una cartucciera dei pochi aneddoti che voglio raccontare, che “fanno” effetto o che si possono raccontare.

Eh già… che si possono.

Perché, a parte, gli stralci di vita quotidiana che per mesi ho condiviso in Casa Vai -e che sono di per sé inutili da raccontare (se non da essere vissuti ora dopo ora, giorno dopo giorno)- ci sono tanti piccoli accadimenti, momenti di scambio umano, “incidenti” quotidiani che non possono essere messi a parole in scrittura… e forse di quelle cose continuerò a farne tesoro privato e a raccontarle di persona agli amici più cari nelle occasioni più speciali.

Ho lavorato poco più di 3 anni con Steve Vai, dicevamo.

I primi 2 mesi li ho fatti esclusivamente di gavetta come “Second Engineer”, al Mothership, il mitico e mitologico studio nelle colline di Hollywood ormai passato di proprietà, originariamente la casa della famiglia Vai, dove Steve ha registrato tutte quelle belle cosine che noi tutti amiamo, da Passion&Warfare fino almeno a Ultrazone (con qualche eccezione su quest’ ultimo).

Considerate che io ero un giovane chitarrista, appena “graduato” RIT (recording) ma soprattutto appena graduato in chitarra al GIT, e da bravo italiano doc, ho letteralmente bombardato di domande Neil, il first engineer, e quando potevo curiosavo per tutta la casa\Mothership, 4 piani da cima a fondo… tutta!

(NB. Steve già non abitava più sulle colline di Hollywood ma più a nord.)

 

Ci sarebbe un intero capitolo da dedicare al Mothership, a quanta scuola ho fatto e la magia che traspirava da ogni parete… e forse, quando sarò ispirato lo scriverò un capitolo, who knows.

Perché di questo si tratta, di ispirazione.

Ed è l’ ispirazione recente che mi spinge a fare questo primo solitario capitolo di un mio (im)probabile blog: la spinta me l’ ha data la chiacchierata live sul canale Instagram di Accordo.it con l’ amico Gianni Rojatti, ma soprattutto la spinta me l’ ha data la genuina e luccicante curiosità che ho percepito al raccontare alcune di queste storie da parte degli amici partecipanti allo streaming … ed una notte di pensieri mi hanno convinto a buttare giù due righe, per grande felicità del mio webmaster che mi spinge a farlo da anni (“fai frasi più corte Enrico!”, vero Enzo?!?)…

Confermo e confesso che prima o poi parlerò di altre cose: le sessioni meravigliose al Mothership con i grandi chitarristi e sound engineer ospiti, com’è fatto il Mothership, come sono passato dal lavorare tra Mothership per Favored Nations e Casa Vai (l’ Harmony Hut) fino a stare al fianco di Steve in pianta stabile.

O dei dettagli tecnici più curiosi dal punto di vista della fonia strizzando però l’ occhio anche ai chitarristi: ho passato un’ oretta buona con Steve che mi raccontava come costruisce i suoi delay stereo per i suoi soli e come Eddie (!) e altri invece costruissero il proprio suono, spiegandomene la tecnica… una vera e propria lezione personale dal Signor Vai…

Ma anche il Live at the Astoria London, Archives, le mie trascrizioni su pentagramma per Steve, il libro datomi di Frank Zappa…

Tempo però di parlare della famosa “paletta rotta di Ibanez Jem” , che nella famosa diretta IG ha creato un certo buzz e che tutto questo processo di scrittura mi ha ispirato!

Non che ci sia molto da dire su ‘sta paletta, eh!

Allora perché la paletta fantomatica dell’ Ibanez ha un suo posto particolare nelle mie memorie?

Perché è uno dei pochissimi oggetti fisici che mi ricordano quel periodo.

E, detto tra noi, sicuramente è bello vedere il mio nome in alcuni album e DVD di Vai e Favored Nations: ma quello è lavoro, soddisfacente si, inorgogliente si, sudato si (!), ma il cuore è altro…

Ed oggi, nel 2020, dove gli smartphone fanno video migliori di costose videocamere, dove il web ci accompagna “everywhere” e dove chiunque ha ormai acquisito la stessa velocità di un razzo nel farsi selfie con il suo artista del cuore beccato alla fiera del cavolfiore, postandolo in tempo reale in 14 social…,,,,,,beh, tutto questo non esisteva “allora”, non era neanche previsto che esistesse e ci si poteva reputare fortunati ad avere con se una macchina fotografica a rullino pronta per tali eventi inaspettati!

… io ho solo un “selfie” con Steve, in studio ai tempi della stesura di k’m-pee-du-wee (ed il termine selfie non era ancora coniato e riconosciuto universalmente), fatto con una fotocamera a rullino: un selfie del quale non potevo per ovvie ragioni verificarne la qualità e che ovviamente una volta stampato giorni dopo su carta fotografica trovai irrimediabilmente… sfocato!

Ma ce l’ho ancora quel selfie, eccome se ce l’ ho.

Io amavo la quotidianità in casa Vai, il lavorare dalle 10 del mattino a mezzanotte durante tutti i weekdays: pranzare con un sandwich al volo, sandwich che l’ allora governante Monica mi aiutava a preparare di fretta e furia in cucina. Così come cenare intorno ad un tavolo, Italian style, con la famiglia Vai al completo: Steve, Pia ed i figli.

A volte anche con la mamma di Steve da NYC, la fiera e dolcissima Theresa.

O scambiare due chiacchiere con la sorella Pam.

O guidare la sua Nissan Z nera con bordi verde fluo targata “UR 777” (TU SEI 777)…

O…

E più penso facendo “mente locale”, più recupero tantissime memorie… che se mi avessero raccontato ciò che avrei vissuto, 2 anni prima di quel periodo, non ci avrei creduto, non ci avrei potuto credere…

E ripensare a quei giorni, oggi, in realtà mi aiuta a ripercorrerli, a non dimenticarli, a recuperare alcune memorie importanti ormai sotterrate nella mia quotidianità dal pensiero degli impegni di lavoro, dal plug-in di turno, dal lavoro sulle mail, dall’ emulatore di amplificatore… “QUELLE” memorie che fanno parte del “motore” che mi fa girare ancora oggi.

E quindi…

 

Soggetto:

Paletta chitarra. Rotta. Ibanez. Jem (non specificata). Bianca.

Bonus:

Di Steve Vai.

Extra-Bonus:

con dedica.

Un giorno di Novembre (o Dicembre, non ricordo) di un tiepido inverno Los Angelino passato al Mothership -solo pochi giorni dopo aver assistito all’ audizione per batteristi tenuta da Steve e Billy (Sheehan) con un tale Jeremy Colson-  finalmente mi decido a mettere un po’ d’ ordine per ammazzare il tempo dato che era uno di quei giorni cosi…

E considerando che sono in studio dalle 9 del mattino per aiutare Steve nella prima stesura di ciò che diventerà Real Illusions ma anche considerando che Steve stesso ama stare da solo, a fasi alterne, in regia mentre prova le cose sue, decido di attivarmi ad occuparmi il tempo in maniera alternativa.

Quindi, ormai visto TRE volte di seguito durante i vari “downtime” (ovvero momenti morti) l’ intero cofanetto DVD Anthology dei Beatles presente nella piccola lounge dello studio, è tempo di fare altro: in regia ora non posso entrare, in sala di ripresa è tutto bello microfonato e “ready to go”, rimane quindi… il locale di sgombero sottostante!

Steve già da tempo mi disse come fosse impossibile, per il marasma che si era creato con gli anni in questo locale, accedere alla piccola stanzetta annessa a tale locale, stanzetta dove c’erano un po’ di parti elettriche ed elettroniche di ricambio ma anche tanto altro.

Armato di sana volontà ma soprattutto memore dall’ Italia da “bravo figlio di mamma paziente che vive in una stanza ricolma di oggetti”  che il caos in un ambiente è annichilente alla vista ma bastano un paio d’ ore contate perchè l’ ordine ritorni e si generi tanta immondezza. E dunque mi sono messo all’ opera zitto-zitto quatto-quatto, sempre prestando un’ orecchio ad un eventuale urlante richiamo “Enrrrrrrricooooo” da parte di Steve, dalla foresta di cavi della regia…

Non sto a raccontare quanta immondezza abbia trovato sotto forma di cartoni vuoti e mal ripiegati, imballaggi di plastica, pezzi di legno (!)… in meno di un’ ora, nella mia piena modalità schizzata full-throttle, faccio totale pulizia, accedendo finalmente a questo fantomatico “retrobottega”.

E… buon Dio… quanta roba… non mi dilungo su condensatori e parti elettroniche di compressori, pre microfonici o della console API; ma meriterebbe tomi interi parlare di pomelli per chitarre (di tutti -TUTTI!- i colori possibili ed immaginabili), pick-up di tutti i tipi e colorazioni.

Tutto questo marasma di oggettistica contorna un piano lavoro per organizzato, piano lavoro nel quale scoprii successivamente, Nordregg ogni tanto giustamente bazzicava.

Quanto avrei voluto, col senno di poi, che ci fossero i miei amici dell’ Emilia Romagna a divertirsi con me a commentare ogni singolo pezzettino colorato e misterioso che vidi in quella stanza!

E poi ancora c’erano corpi chitarra ma soprattutto manici… con inlays floreali, dots semplici o colorati, piramidi tronche… tutto l’ immaginario di anni di riviste specializzate e di copertine di album da me studiate fino all’ ultimo dettaglio… era li…

Tra questi porno-reperti trovo una paletta di Jem bianca, spezzata accidentalmente in senso diagonale tra il capotasto ed il primo tasto, con una chiavetta di un altro colore aggiunta in maniera posticcia.

La metto da parte.

Finisco il mio giro di perlustrazione, metto all’ esterno della serranda del garage tutto il cartone in eccesso, il più ordinatamente poggiato, onere prossimo del camion della spazzatura hollywoodiana e torno su al primo piano, in studio.

Al primo break che Steve si prende lo accompagno quasi per mano (!) e lo porto “di sotto” … felice e contento di vedere finalmente un locale utilizzabile e non un inceneritore guasto, ed entrando con me nella cameretta delle meraviglie, gli faccio vedere la paletta.

(non dimentico di dirvi che in quell’ occasione mi ha regalato anche un introvabile pick up Ibanez POGO, da lui sperimentato insieme all’ Evolution prima serie nell’ album Sex and Religion……….)

La portiamo in regia, mi racconta di una non meglio specificata gig, durante la quale la sua chitarra si ruppe e nonostante gli interventi che cercarono di fare, alla fine lasciarono che la botta iniziale continuasse nel suo effetto di rottura totale del manico: si decise comunque di tenerla dato che era un ricordo per Steve e finì, tra le mille cose, in mezzo a quella “fascina” di manici, dimenticato.

Non essendo avezzo io a tali richieste mi feci comunque coraggio e chiesi a Steve di poterla tenere e di autografarmela: mi rendevo conto che già da un anno lavoravo con lui e non avevo il più piccolo “souvenir” da appassionato.

Lui seduto nella sua poltrona nera ed io in piedi, si fece una bella sana risata -indimenticabile nel suo leggero graffiare metallico ma con una tonalità dominante ben distinta-, mi guardò 2 secondi netti pupilla-contro-pupilla, cercò un pennarello usato per scrivere sulla console, e non si limitò ad autografarla.

Qui nella foto si vede… cosa mi rimane in mente e nel cuore? Il fatto che si prese la briga di scrivere queste parole sentite, totalmente spontanee pur avendo così poco spazio per scrivere, iniziando con la maniera con la quale lui mi chiamava affettuosamente:  “Ennnnriko”, accentuando l’ italianità del mio nome e l’ italianità della sua pronuncia.

 

Eh si perché, per Lui ero, in ordine:

  • “Ennriko” durante il lavoro
  • “My little buddy” (il mio piccolo amico)
  • “Ennnnnnnnnriko” se era in vena di scherzi, di aneddoti da raccontare oppure semplicemente di buon umore spensierato.

… e quindi:

“Ennnnriko. Mille grazie. You’re the coolest. Steve Vai.”

Sic.